mercoledì 28 aprile 2010

L'armonia dei colori

Uno dei capitoli più controversi della teoria dei colori è quello sull'armonia, appunto, dei colori.
In molti libri si parla delle triadi, degli armonici analoghi, complementari ecc. ecc.
Se abbiamo presente lo spettro dei colori, sottoforma di disco, è abbastanza semplice farsi un idea di quali siano i colori complementari l'uno all'altro. Il rosso è complementare al verde, il giallo è complementare al blu. Ebbene la teoria dice che l'accostamento di due complementari o di due o più analoghi (colori vicini l'uno all'altro sulla scala) produca armonia. Anche l'utilizzo di soli tre colori dello spettro (ad esempio i tre primari) produce armonia nel quadro.
Una linea di pensiero sostiene che meno colori usiamo, più il quadro sarà armonico. Sarà vero? le leggende dicono che il grande pittore svedese Anders Zorn dipingesse con soli tre colori più l'aggiunta del bianco e del nero. Dal quadro qui sotto sembrerebbe così (sembra anche che nel suo studio non mancassero mai le modelle dalle tipiche fattezze nordiche).

martedì 13 aprile 2010

Frank Dicksee


Alla Tate Gallery a Londra vendevano, o forse vendono ancora, delle rubriche artistiche con le opere del museo all'interno e, sulla copertina di queste spiccava il magnifico quadro qui sopra. Naturalmente la riproduzione è più fedele di quella sopra. Rimanemmo molto impressionati da questo pittore che, tutto sommato, non è poi così tanto noto. Nato a Londra, nella seconda metà dell'ottocento, Frank Dicksee si ditinse sopratutto per le sue rappresentazioni storico mitologiche. Pur essendo associabile alla corrente dei preraffaeliti, Dicksee possiede una tecnica di rappresentazione unica. Le superfici dei quadri sono movimentate e piene di vita e non lisce e monotone come le tele di altri suoi contomporanei. La scelta dei soggetti e la loro forza, sia nel movimento che nel contenuto simbolico, sono straordinari.



Qui sopra "La belle dame sans Merci"

venerdì 9 aprile 2010

Muscoli del dorso


Potrebbe tornare utile all'illustratore conoscere la muscolatura del corpo umano. Come aveva giustamente osservato Leonardo da Vinci, però, è bene rappresentare le figure senza gonfiare tutti i muscoli contemporaneamente. Questo perchè ogni movimento implica uno sforzo diverso (Rambo potrebbe costituire un controesempio?).

mercoledì 7 aprile 2010

Zdenek Burian


http://www.youtube.com/watch?v=ZZE4sqN4D0Q

Nel link sopra, un filmato interessante sull' illustratore di libri della preistoria che per primo ha interpretato i dinosauri in modo moderno: Zdenek Burian. Il filmato mostra alcuni dei suoi lavori, con una musica di sottofondo leggermente psicadelica, che crea un atmosfera onirica. Burian usava modellini dei dinosauri da lui creati come fonte di ispirazione per i quadri.

martedì 30 marzo 2010

Zeusi e Parrasio


Un passo di Plinio il vecchio racconta di due considerati fra i maggiori pittori della Grecia antica: Zeusi e Parrasio. Egli narra che, in una competizione pittorica, Zeusi dipinse dell'uva così realistica che, alcuni uccelli, passando lì per caso, non poterono far a meno di avventarsi di sopra. Zeusi, tronfio di orgoglio disse allora a Parrasio di togliere il telo e di scoprire la sua opera. Ma rimase di sasso quando scoprì che il telo, che lui pensava coprisse il quadro, era il dipinto stesso.
Nel quadro dell'800 sopra, Eleuterio Pagliano raffigura la scena in cui Zeusi convoca cinque donne diverse per comporre il suo dipinto di Elena, a Crotone.
Da personaggio bizzarro, sembra che Zeusi sia morto, al culmine della sua carriera, dal troppo ridere mentre stava effettuando il ritratto di una donna, sembra, oltremodo buffa.

Tratteggio e...indiani

Dal punto di vista accademico, almeno secondo quanto insegnava il pittore Walter Falzari, il tratteggio dovrebbe essere compiuto, a carboncino, in diagonale. Questa regola si è poi evoluta e spesso si tende a seguire, con le linee del tratteggio, la direzione dei piani del volto o dell'oggetto che si sta disegnando.
In alcuni casi, poi, può essere di maggior effetto la sfumatura. Con la matita le regole sono le stesse, tranne il fatto che, se lavoriamo in piccolo, possiamo appoggiare la mano al tavolo e tenere la matita in modo convenzionale (cioè nello stesso modo in cui scriviamo).



Due disegni a matita di Roberto in cui è stato utilizzato un mix dei tratteggi descritti sopra.

lunedì 29 marzo 2010

Le sensazioni derivanti dai colori

Lo studio del colore è una materia che ha interessato molti uomini del passato. Pochi sanno che il celebre Wolfgang Goethe è stato autore di un saggio scientifico sui colori.
Quando noi vediamo un colore siamo influenzati emotivamente da più fattori connessi al medesimo.
Alcuni di questi sono inconsci, legati alle radici più profonde della natura umana. Se, ad esempio, vediamo un colore rosso acceso, istintivamente, siamo portati ad esserne attratti, non necessariamente perchè sia bello, ma perchè è un segnale d'allarme. Comunemente, a parte qualche fiore o frutto, il rosso vivo è interpretato dalla mente come sangue. E' quindi connesso alle emozioni più vive. Il verde, ad esempio, ci rilassa (perchè? pensateci).
L'altro fattore che ci condiziona, quando vediamo dei colori, è quello culturale e se, vogliamo, religioso.
Questo deriva dal modo tradizionale in cui siamo abituati a vedere certe cose o certe situazioni (il bianco ci ispira purezza spirituale, ad esempio).
La natura stessa si serve di alcuni colori per creare situazioni d'allarme, pensiamo ad esempio ai colori vivaci di alcuni serpenti velenosi o rane ancora più velenose, a magari anche semplicemente alle api!
Grazie a questa conoscenza, i pittori possono giocare nella scelta dei colori e, consciamente, convogliare lo spettatore (ignaro) verso ciò che intendono trasmettere.


Chi può nascondere che il grande pittore svedese Anders Zorn, in questo autoritratto, grazie alla scelta colorisitica, non intendesse far trasparire il suo temperamento focoso?

domenica 28 marzo 2010

I ritratti del Fayum


Quanto ne sapevano gli antichi di pittura?
Spesso si tende a credere che la pittura per come la intendiamo noi abbia avuto la sua fioritura nel rinascimento. Eppure i ritratti qui presenti sono stati datati al 200 a.C. circa.
Oltre all'esecuzione è importante notare che i colori sono rimasti inalterati per più di 2000 anni. E che la superficie, malgrado le screziature provocate da sollecitazioni esterne, non presenta spaccature.
Forse non sapremo mai quanto ne sapevano veramente gli antichi di pittura.

venerdì 26 marzo 2010

Preparazione delle tele


Oggi in un negozio specializzato in articoli di pittura troviamo perlopiù tele preparate industrialmente.
Sono tele che hanno ricevuto un'imprimitura meccanica e io sinceramente non saprei dire quali sono i singoli passaggi effettuati.
L'unica cosa che posso dire è che sono tutte tele inadatte a pitturarci sopra.
La cosa sconcertante è che uno può arrivare a spendere più di cento euro per un pezzo di tela di lino peparato ad olio di un metro e mezzo per sei , credendo di aggiudicarsi una buona riuscita dell'opera, per poi scoprire che è stata preparata in un modo in cui nemmeno Rembrandt riuscirebbe a dipingervi sopra.
Ma come preparavano le tele i pittori del passato?
Una domanda semplice la cui risposta, in un libro di tecnica pittorica, potrebbe essere contenuta e descritta in decine e decine di pagine.
Ognuno aveva, naturalmente, le proprie abitudini, per cui è impossibile trovare una vera e propria linea comune.
Si partiva da una tela di lino grezzo, di tramatura più o meno fitta, un tessuto vero e proprio, tanto per intendersi.
E' indubbio che sulla tela grezza il pittore doveva spalmare sopra della colla.
La colla dona alla tela la rigidità necessaria per poter fornire un supporto rigido, ma troppa colla o colla sbagliata potrebbero non funzionare bene.
Per oggi allego un link molto molto interessante.

http://www.artenet.it/stratigrafia/CARAVstr.htm

Dandoci un'occhiata, ci rendiamo conto di come il fatto stesso di voler utilizzare le tele in maniera industriale sia un punto di partenza completamente sbagliato.
La cosa divertente è che già a inizio novecento, Harold Speed (ha scritto uno dei libri più diffusi sulla tecnica pittorica) aveva notato "Queste maledette tele di oggi, sembra di dipingere sul sapone!!"

giovedì 25 marzo 2010

Le proprietà ottiche nel quadro: Maxfield Parrish


Recentemente abbiamo acquistato un libro di illustrazioni di Maxfield Parrish. L'edizione è un pò vecchia per cui i colori non rendono molto bene. Sarebbe una bella esperienza poter osservare questi quadri dal vivo perchè, dal punto di vista dei colori, sono assolutamente unici.

Come potete osservare dall'illustrazione qui sopra, infatti, le tinte sono portate all'estremo della saturazione. Ma com'è possibile, direte voi, che uno ottenga una saturazione maggiore di quella che è presente nel colore del tubetto usato in modo puro?
Ebbene, è qui che si apre uno dei capitoli più interessanti e appassionanti della pittura.
Fin dall'antichità l'uomo ha cercato di esaltare al massimo la vitatlità del colore, naturalmente ricavato dai pigmenti, grazie all'aggiunta di qualche altra sostanza, se così vogliamo chiamarla.
Nella fattispecie, nella pittura ad olio, queste sostanze sono state molteplici. Resine, vernici, albumi o rosso d'uova, cere, olii.....sono solo alcune delle componenti aggiuntive sperimentate dai pittori del passato per aumentare la saturazione del colore o ottenere da questo le tinte più sofisticate.
Il principio chimico è che il pigmento viene "circondato" da altre molecole, con caratteristiche di rifrazione diverse. Non vogliamo entrare nei dettagli perchè sconfineremmo nella fisica, ma sicuramente possiamo asserire che più un quadro è ricco di particelle con rifrazioni diverse, più l'occhio che lo guarda ne rimane appagato. Oltre a questo principio, Parrish metteva in atto un'altra propretà ben nota dei colori e cioè quella di poter ricavare i colori secondari e successivi partendo dai primari.

Sicchè Parrish, per ottenere il colore viola, non dipingeva usando il colore viola del tubetto.
Utilizzava inizialmente il colore blu, più puro possibile e arricchito con vari "cristalli". Poi lo bloccava, cioè creava uno strato trasparente e separatore in maniera da isolare ciò che era stato fatto e in modo che quello che dovesse venire successivamente non subisse nessuna alterazione chimica. Fatto questo, sulla superficie trasparente dipingeva usando un colore rosso trasparente (la lacca di garanza gode di questa proprietà).
Sicchè la luce che investe il quadro entra negli strati e, tornando indietro riflette il colore blu del pigmento, a poca distanza (parliamo di molecole) riflette il colore di uno o più cristalli di natura diversa e accanto a questo, il pigmento che appartiene allo strato successivo e cioè il rosso.
Il risultato? L'occhio vede il viola ma un viola molto più "ricco" e "intenso" di quello che si trova pronto in un tubetto.
Ora immaginate di trovarvi di fronte a un quadro di Parrish che per essere dipinto ha richiesto la sovrapposizione di più di dieci strati separati. Più sorprendente della natura stessa.
Qual'è l'aspetto negativo di questa tecnica? La risposta è semplice: richiede molto molto molto tempo.
In alcuni anni della propria carriera Parrish poteva dipingere al massimo quattro quadri all'anno!!

mercoledì 24 marzo 2010

Il Carboncino 3


Come si tiene in mano la matita-carboncino? Nell'immagine c'è l'impugnatura corretta per lavorare stando in piedi. L'altro modo di tenere la matita, cioè quello che si usa normalmente per scrivere non è consigliabile perchè non permette di lavorare usando tutta l'estensione del braccio. Per disegnare con l'impugnatura corretta è necessaria un pò di pratica, quindi è preferibile provare a disegnare alcune linee ed alcune forme per acquisire padronanza piuttosto che lanciarsi immediatamente nell'esecuzione di un ritratto.


Nell'altra foto si vede uno strumento chiamato "allungamatite". Si inserisce sulla matita e permette di utilizzare quest'ultima anche quando è ormai ridotta a un mozzicone. Aggiungendo un pò di centimetri all'impugnatura, l'allungamatite ci facilita ancora di più nel lavorare mantenendoci a distanza.
Come quando un allievo vuole imparare a suonare uno strumento, ad esempio la chitarra, e il maestro gli insegna inizialmente la postura e l'impostazione delle mani, così, nel lavorare a carboncino, uno dovrebbe stare molto attento a non prendere subito le "cattive abitudini".
L'abitudine di stare attaccati al foglio mentre si lavora è uno degli errori che porta a più della metà degli insuccessi di coloro che cominciano a disegnare.
E' bene invece utilizzare tutta l'estensione del braccio, in modo tale da avere sempre sotto controllo tutto quello che si sta disegnando, e non solo i particolari.

martedì 23 marzo 2010

Il Carboncino 2


Non è da trascurarsi, facendo un disegno al carboncino, il tipo di carta sul quale si vuole lavorare.
Ai tempi in cui si frequentava la scuola di Falzari, veniva utilizzata la carta d'impacco. E'una carta ovviamente economica e va utilizzata dalla parte non lucida.
Questa carta ha il pregio di permettere un tratteggio leggermente sgranato, una facile sfumatura con lo sfumino o le dita ma ha il difetto di essere molto incline allo spiegazzarsi.
Le altre carte oggi in commercio sono più o meno buone, la Fabriano offre una carta ruvida (attenzione non quella che presenta una tramatura tipo tela) molto buona, ma su questa è più difficile sfumare e bisogna affidarsi di più al tratteggio. Questi fogli, inoltre, sono sensibili a quanto vi si preme la matita sopra e, una volta incisi troppo in profondità, si rovinano.
Aggiungo che, per imparare, ci si può affidare tranquillamente a questi fogli, facendo attenzione che, talvolta, il tipo di supporto utilizzato, influenza poi anche lo stile della persona. Cionostante, in fase successiva, volendo eseguire un opera da presentare, è sicuramente meglio sperimentare carte più pregiate e costose, magari prodotte artigianalmente.


lunedì 22 marzo 2010

Il Carboncino


Su richiesta, mettiamo alcuni suggerimenti per lavorare a carboncino. Innanzitutto è bene specificare che c'è una differenza fra il carboncino vero e proprio e la matita-carboncino.
La matita-carboncino offre il vantaggio di essere simile a una matita, a parte la mina, e quindi di poter essere maneggiata senza sporcarsi. Lo "svantaggio è che, spesso, non è così intenso come il carbone e non permette di ottenere un tratto più grosso di quello che è il diametro della mina; al limite un pò di più se è usato in diagonale.
Il carboncino è venduto in pezzi di carbone, talvolta simili a bacchette di liquirizia, oppure sotto forma di piccoli "gessetti". Esistono inoltre diverse "durezze" del carboncino, esattamente come esistono per la matita.
Il vantaggio è che, se usato in diagonale, può produrre un tratto estremamente grosso e, quindi, permette di coprire ampie zone scure con poco dispendio di energie. Per contro, se usato di punta, permette di lavorare pure nei dettagli.
E' bene notare, comunque, che, a prescindere da ciò che si usa, è bene lavorare su un piano verticale, ossia utilizzando un cavalletto.
Questo per evitare di sporcare il foglio, appoggiandovi la mano sopra, sia perchè è più facile allontanarsi per guardare il lavoro svolto da una certa distanza.

Qui sopra, uno studio eseguito da Roberto in matita-carboncino.

domenica 21 marzo 2010

Giovanni Zangrando


Per chi non lo conoscesse, Giovanni Zangrando (1867-1941) è stato uno dei pittori triestini più celebri della prima metà del novecento (E' stato maestro di Walter Falzari). Ecco un quadro che raffigura il passaggio S.Andrea (il paesaggio con gli anni è cambiato un pò; chi conosce Trieste ne converrà).
Studiò all'accademia di Venezia e poi all'Accademia di Monaco di Baviera, imparando sopratutto dal Lenbach. Vinto un premio di pittura potè recarsi a Roma dove divenne amico di pittori come Cesare Pascarella e Antonio Mancini ed arrivò secondo a un premio nazionale di pittura con i naufraghi. Nel 1895 tornò a Trieste e aprì una scuola, assai rinomata e frequentata. Aggiungiamo in coda uno splendido ritratto di fanciulla a carboncino.

Curiosità. Talvolta le necessità primarie non rispettano l'arte: mia madre racconta che, abitando da piccola in una mansarda di proprietà della famiglia Zangrando, durante il gelido inverno, fu costretta a utilizzare alcune tavole del pittore, che erano lì depositate, per tappare i buchi delle finestre. Che dire? speriamo di cuore che non fossero i quadri migliori.

giovedì 18 marzo 2010

Walter Falzari

A Trieste, nella seconda metà del novecento, per chi avesse voluto imparare a dipingere secondo i dettami tradizionali, esisteva praticamente un unico punto di riferimento.
Walter Falzari (1911-1998) è stato l'insegnante di più generazioni tanto che è stato il maestro di Sergio, negli anni cinquanta, e persino mio (Roberto), più avanti, per un paio d'anni.
Pittore ritrattista, Falzari ha dipinto in modo notevole anche molte nature morte.
Essendo stato di natura schiva Falzari non ha avuto il successo che sarebbe dovuto spettare a un pittore del suo livello. Tuttavia ha lasciato un segno indelebile nella memoria di tutti coloro che hanno frequentato il suo studio, e che sono stati tanti.
Celebri le sue uscite teatrali, quando, mentre un allievo stava dipingendo un ritratto, egli si avvicinava repentinamente per afferrarlo e condurlo due passi indietro. "Guarda!"esclamava "che orrore che hai fatto!!!!".
Naturalmente era necessario essere dotati di una buona "scorza" , se così si può dire, per andare avanti.
Nella foto: il Battista (1949).